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L’approvvigionamento diretto

direct sourcing

Con questo termine intendiamo l’attività di approvvigionamento mediata da una terza parte che si interpone tra i due attori agli estremi della transazione (cioè il fornitore e l’acquirente). I casi empirici mettono in evidenza due tipi di intermediazione:

  • Intermediazione tradizionale.
    L’intermediario si configura in questo caso come grossista internazionale che acquista prodotti sul mercato cinese e li rivende in altri mercati. Il suo profilo è prevalentemente commerciale, anche se il tipo di servizio erogato richiede la capacità di governare adeguatamente tutte le variabili connesse al trasferimento internazionale delle merci (problematiche logistiche, doganali, ecc.). Il buyer occidentale, dunque, non ha in questo caso visibilità diretta, e dunque interazione, con il fornitore orientale. I codici acquistati sono in genere standard. Non è infatti consigliabile l’utilizzo di questa forma di approvvigionamento per l’acquisto di prodotti su specifica o complessi, venendo a mancare un collegamento stabile e diretto tra le parti. La possibilità di fornire spiegazioni di tipo tecnico o richiedere eventuali modifiche progettuali e produttive è infatti difficoltosa, in quanto il mediatore ha un ruolo tipicamente commerciale.
  • Outsourcing di servizi di approvvigionamento internazionali.
    L’intermediario si configura in questo caso come provider di una serie di servizi:
    analisi dell’offerta cinese, individuazione dei potenziali fornitori, definizione del contratto, controllo della qualità, selezione dei trasportatori internazionali, monitoraggio dei fornitori.
    Il ruolo dell’intermediario è particolarmente significativo nelle fasi iniziali, cioè nel momento in cui vengono identificati i potenziali fornitori ed avviati i contatti preliminari. L’intermediario, grazie alla sua esperienza e alla base operativa di cui dispone nel mercato cinese, è in grado di selezionare i canali informativi più idonei ed effettuare uno screening sulle opportunità di fornitura. Può ancora meglio gestire la fase di negoziazione, controllando eventuali comportamenti opportunistici della parte cinese e allo stesso tempo facendo ad essa comprendere i vantaggi insiti nel rapporto di fornitura. L’operatore occidentale che esplora il mercato cinese si trova infatti spesso confuso rispetto alla varietà delle offerte che gli si presentano, all’eccesso di informazioni disponibili ed ad uno stile negoziale inconsueto.
    Le esperienze che abbiamo esaminato mostrano come in genere il provider di servizi internazionali si ponga nelle prime fasi come unica interfaccia dell’interlocutore cinese, nascondendo l’identità dei potenziali fornitori cinesi fino alle produzioni pilota. Successivamente, tuttavia, soprattutto in corrispondenza di codici che necessitano di interazione tecnica e tecnologica delle parti, buyer e supplier interagiscono direttamente e direttamente definiscono il contratto. L’intermediario tuttavia continua spesso a svolgere un ruolo di “approvvigionatore esterno”, mantiene cioè la responsabilità complessiva dell’approvvigionamento. Le sue competenze in materia di international business e la sua rete locale di agenti non possono infatti venire facilmente sostituite. E’ per questo che il ricorso all’outsourcing di servizi logistici internazionali costituisce probabilmente una scelta obbligata per le imprese acquirenti di piccole dimensioni. Esse difficilmente dispongono di risorse e competenze adeguate per sondare il mercato estero, controllare in loco i fornitori, monitorare l’avanzamento dei flussi. La società di intermediazione per molti aspetti funge da International Purchasing Office delle imprese acquirenti. La costituzione di un ufficio cinese, del resto, comporta un livello di investimenti giustificabile solo da volumi di acquisto adeguati.
    L’intermediario, focalizzandosi su queste attività per un insieme di clienti, riesce a conseguire su di esse economia di scala e di specializzazione. Nel contempo la sua mediazione culturale può rendere la parte cinese più disponibile a fronte di eventuali modifiche alle produzioni concordate (in caso, ad esempio, di difetti o di qualità non conforme) e allo sviluppo congiunto di nuovi prodotti (sulla base di specifiche fornite dal cliente occidentale), e più in generale più ricettiva rispetto all’introduzione di modalità avanzate di produzione e gestione.

 Dal punto di vista gestionale e operativo, l’intermediated sourcing rappresenta la strategia di approvvigionamento più semplice e più rapidamente percorribile. La creazione e la conduzione del rapporto con il fornitore è infatti delegata all’intermediario e non vengono richieste competenze specifiche all’acquisitore.
L’intermediazione può essere un modo efficace e relativamente poco rischioso per testare il mercato cinese, anticipando scelte di direct sourcing una volta sperimentato con successo questo bacino di approvvigionamento. Gli svantaggi vanno individuati nel costo dell’intermediazione e – relativamente a quella tradizionale - nella difficoltà o impossibilità di interagire direttamente con le sorgenti.
In entrambe queste forme l’intermediario si qualifica in virtù di una presenza efficace nel mercato cinese, attraverso una propria struttura di acquisitori. Proprio nella rete di relazioni e nelle conoscenza delle pratiche di business locali risiede il principale patrimonio delle trading company. Nel caso tuttavia di outsourcing di servizi logistici, la base locale presenta un profilo di competenze più articolato ed ha spesso caratteristiche “stanziali”, gli acquisitori cioè sono dislocati in modo stabile presso uno o più fornitori dei quali controllano qualità e tempi.
In passato, l’intermediazione era consentita soltanto ad un numero limitato di società cinesi autorizzate. Oggi invece, i profondi cambiamenti che stanno interessando l’industria cinese hanno profondamente modificato la realtà e le caratteristiche dell’intermediazione. L’apertura della Cina ai mercati internazionali e la conseguente progressiva privatizzazione delle enormi e, in genere, inefficienti società statali hanno infatti accompagnato la fine del monopolio delle attività internazionali di cui godevano le foreign trade companies cinesi. Le conseguenze sono state duplici: da un lato molte imprese private (quelle di maggiori dimensioni e con maggiore propensione all’internazionalizzazione) sono riuscite a rapportarsi direttamente con i clienti stranieri e, dall’altro, si è assistito alla creazione di nuove realtà di intermediazione.
In base alle esperienze esaminate in questa ricerca, le foreign trade companies cinesi sono raramente considerate dalle aziende occidentali come una valida opportunità di approvvigionamento. Vengono talora utilizzate laddove vi è la necessità di attivare rapidamente un canale di approvvigionamento dalla Cina o per ridurre i tempi e i costi della selezione dei fornitori: il rapporto con il trader cessa nel momento in cui l’acquirente occidentale ha “scoperto” attraverso di esso fornitori capaci e stabilito con essi rapporti diretti. Questo rapporto interviene ancora in quei settori in cui la fornitura locale è polverizzata in una miriade di unità caratterizzate da modesta dimensione e profilo gestionale.
Da rilevare come sia frequente il ricorso ad aziende coreane e taiwanesi nel ruolo di intermediari. Si tratta evidentemente di imprese che operano in contesti economici e industriali che per ragioni storiche presentano maggiori affinità e familiarità con le prassi occidentali; nel contempo esse sono meglio in grado di inserirsi nel tessuto sociale/culturale orientale di cui conoscono regole e abitudini relazionali.
Infine, si vanno rapidamente affermando società di intermediazione localizzate in occidente ma con appendici in Cina. Innanzi ai clienti europei, esse possono proporsi come interfaccia più accessibile e ricettiva rispetto agli intermediari asiatici, mentre la base operativa in Cina si specializza nelle gestione dei rapporti locali di fornitura. Il tema dell’intermediazione verrà ripreso e approfondito nei capitoli successivi.

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